venerdì 27 luglio 2018

VERSO IL SINODO DEI GIOVANI



Da sempre la Chiesa rivolge la sua attenzione prioritaria ai giovani. In particolare dal Concilio vaticano II quando Paolo VI, alla fine dei lavori, indirizzò proprio ai giovani, ritenuti i principali destinatari del rinnovamento conciliare, uno specifico messaggio:
“La Chiesa, durante quattro anni, ha lavorato per ringiovanire il proprio volto, per meglio corrispondere al disegno del proprio Fondatore, il grande Vivente, il Cristo eternamente giovane. E al termine di questa imponente «revisione di vita»; essa si volge a voi: è per voi giovani, per voi soprattutto, che essa con il suo Concilio ha acceso una luce, quella che rischiara l'avvenire, il vostro avvenire.”
Il beato Giovanni Paolo II, il grande comunicatore, aveva creato le Giornate Mondiali della Gioventù per istaurare un dialogo costante con i giovani di tutto il mondo al fine “… di riportare al centro della fede e della vita di ogni giovane la persona di Gesù, perché ne diventi costante punto di riferimento e perché sia anche la vera luce di ogni iniziativa e di ogni impegno educativo verso le nuove generazioni.” Dal 1985, con cadenza biennale e poi triennale, queste giornate sono diventate un appuntamento fisso ed hanno scandito la vita ecclesiale di quest’ultimo trentennio.
La premura della Chiesa nei confronti delle giovani generazioni nasce dalla costatazione che proprio nell’età adolescenziale e giovanile sorgono le domande esistenziali più profonde; domande che il pragmatismo disincantato oggi dominante, ma anche l’ideologia materialista cercano di negare, tanto che un illustre intellettuale quale Natalino Sapegno le definiva:
“Le domande in cui si condensa la confusa e indiscriminata velleità riflessiva degli adolescenti, la loro primitiva e sommaria filosofia (che cosa è la vita? a che giova? quale il fine dell’universo? e perché il dolore?), quelle domande che il filosofo vero ed adulto allontana da sé come assurde e prive di un autentico valore speculativo e tali che non comportano risposta alcuna né possibilità di svolgimento (…)”.
Ma l’attitudine a porsi domande, l’apertura alla novità, l’attesa per il compimento del desiderio strutturale di felicità e amore che ogni uomo si porta dentro e che sono proprie dell’età giovanile, costituiscono lo spessore più vero della nostra umanità. In questo consiste la vera giovinezza del cuore, tanto che Ada Negri, ormai quasi settantenne, nella poesia “Mia giovinezza”, scriveva:
 «Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo/all’essere. Sei tu, ma un’altra sei:/senza fronda né fior, senza il lucente/ riso che avevi al tempo che non torna,/ senza quel canto. Un’altra sei, più bella».
Rispetto a tali domande la Chiesa vuole invece interloquire con i giovani, non per imporre una risposta prefabbricata, ma per istaurare un dialogo su una dimensione che non va censurata ma  va presa sul serio perché costituisce la cifra dell’essere uomini. Per questo la Chiesa vuole prendere sul serio l’esigenza di autenticità, il desiderio di cambiamento, la diffidenza verso il potere delle giovani generazioni in un tempo in cui si moltiplicano gli sforzi per prolungare il più possibile la gioventù esteriore ma per i veri giovani c’è sempre meno spazio. Poche opportunità di lavoro, spesso precario e sottopagato, con un sistema previdenziale che ipergarantisce gli anziani e mortifica i giovani. 
Allora si tratta di fare un passaggio ulteriore rispetto ad eventi mediatici, anche di grande impatto, quali le GMG, che rischiano di rimanere degli episodi isolati, se non accompagnati da una proposta presente e sperimentabile.
La Chiesa e, in primis, Papa Francesco che molto lucidamente ha definito il nostro tempo non un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca, comprendono molto bene che sulla questione educativa si gioca il futuro della Chiesa stessa. Come educare? Come mettersi in sintonia con i giovani? Perché una Chiesa che non riesca più ad intercettare l’ansia degli uomini del suo tempo, che non riesca più a testimoniare la Verità del Vangelo in modo semplice, efficace ed attraente, che non venga più percepita “per gli uomini e fra gli uomini”, è destinata a una inevitabile marginalizzazione.
Ecco allora il potente stimolo di Papa Francesco:
"E' in Gesù e nello Spirito che la Chiesa trova la forza di rinnovarsi sempre, compiendo una revisione di vita sul suo modo di essere, chiedendo perdono per le sue fragilità e inadeguatezze, non risparmiando le energie per mettersi al servizio di tutti (…) Il cuore della Chiesa è giovane proprio perché il Vangelo è come una linfa vitale che la rigenera continuamente. Sta a noi essere docili e cooperare a questa fecondità. Abbiamo bisogno di riappropriarci dell’entusiasmo della fede e del gusto della ricerca. Abbiamo bisogno di ritrovare nel Signore la forza di risollevarci dai fallimenti, di andare avanti, di rafforzare la fiducia nel futuro. E abbiamo bisogno di osare sentieri nuovi, anche se ciò comporta dei rischi. Un giovane che non rischia non matura, un'istituzione che non rischia rimane bambina. Bisogna rischiare, perché l’amore sa rischiare; senza rischiare, un giovane invecchia, e invecchia pure la Chiesa.”
Alla luce di questa convinzione Papa Francesco ha proposto un percorso sinodale molto articolato, incentrato soprattutto sull’ascolto. Nello scorso marzo si è svolto un pre-sinodo con 300 giovani, , mentre oltre 15.000 sono intervenuti on-line attraverso gruppi fb, per mettere al centro dell’attenzione della Chiesa i giovani con il loro carico di aspettative, di desideri, di allegria, di voglia di vivere e di migliorare il mondo. Per una settimana a parlare sono stati loro e il frutto di quei lavori è stato raccolto in un documento che fa il punto sulle loro esperienze e sul loro sentire. Tale “documento preparatorio” costituirà la traccia per la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema "I giovani la fede e il discernimento vocazionale".
Rispetto alla vivace riflessione in atto nel mondo cattolico con l’approssimarsi del Sinodo, un giovane sacerdote, don Federico Pichetto, costatando l’assenza di accenti autocritici rispetto all’esperienza prodotta dall’educazione ecclesiale nell’ultimo cinquantennio si chiede:
“Chi è stato impegnato in parrocchia nell'animare la liturgia o nel fare catechismo, oggi che adulto è? Chi ha fatto esperienze nella natura in spirito di condivisione e di scoperta di sé, oggi che contributo dà alla Chiesa? Chi ha svolto attività sociali di servizio ai più poveri in associazioni o gruppi cristiani, oggi come vive il proprio lavoro e il proprio rapporto con i figli? Chi ha sperimentato modelli di condivisione e di fraternità ad alto impatto spirituale, oggi come gestisce i soldi e il tempo libero? Chi ha approfondito un fenomeno comunitario intenso con dibattiti culturali, vacanze insieme e gesti di fede mirati, oggi che rapporto ha con la propria affettività e con le quotidiane fragilità che la vita fa emergere? E, infine, dove sono tutti costoro all'interno del dibattito pubblico, della vita sociale e dell'impegno politico del nostro paese? (…) come è potuto accadere che tutta la passione educativa dei cattolici italiani degli ultimi cinquant'anni abbia generato delle umanità senza passioni, intrappolate e ricattate dalle proprie fragilità, impacciate e interdette di fronte all'irruenza della vita? La questione, se non si vuole celebrare un Sinodo pieno di parole e povero di conseguenze, deve restare del tutto aperta.”
Forse proprio nell’ottica richiamata continuamente da Papa Francesco, di una Chiesa che perennemente si riforma, capace continuamente di nuovi inizi, che non si scandalizza del suo limite e non è ricattata dall’esito della sua azione, si può guardare con realismo l’esistente ed accogliere anche interventi volutamente provocatori come questo di don Pichetto.

Dedico questo scritto a don Ennio, la persona più giovane che ho conosciuto.

Ottavio Di Stanislao

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