
Da
sempre la Chiesa rivolge la sua attenzione prioritaria ai giovani. In particolare
dal Concilio vaticano II quando Paolo VI, alla fine dei lavori, indirizzò
proprio ai giovani, ritenuti i principali destinatari del rinnovamento conciliare,
uno specifico messaggio:
“La
Chiesa, durante quattro anni, ha lavorato per ringiovanire il proprio volto,
per meglio corrispondere al disegno del proprio Fondatore, il grande Vivente,
il Cristo eternamente giovane. E al termine di questa imponente «revisione di
vita»; essa si volge a voi: è per voi giovani, per voi soprattutto, che essa
con il suo Concilio ha acceso una luce, quella che rischiara l'avvenire, il
vostro avvenire.”
Il
beato Giovanni Paolo II, il grande comunicatore, aveva creato le Giornate
Mondiali della Gioventù per istaurare un dialogo costante con i giovani di
tutto il mondo al fine “… di riportare
al centro della fede e della vita di ogni giovane la persona di Gesù, perché ne
diventi costante punto di riferimento e perché sia anche la vera luce di ogni
iniziativa e di ogni impegno educativo verso le nuove generazioni.” Dal 1985,
con cadenza biennale e poi triennale, queste giornate sono diventate un
appuntamento fisso ed hanno scandito la vita ecclesiale di quest’ultimo
trentennio.
La
premura della Chiesa nei confronti delle giovani generazioni nasce dalla
costatazione che proprio nell’età adolescenziale e giovanile sorgono le domande
esistenziali più profonde; domande che il pragmatismo disincantato oggi
dominante, ma anche l’ideologia materialista cercano di negare, tanto che un
illustre intellettuale quale Natalino Sapegno le definiva:
“Le
domande in cui si condensa la confusa e indiscriminata velleità riflessiva
degli adolescenti, la loro primitiva e sommaria filosofia (che cosa è la vita?
a che giova? quale il fine dell’universo? e perché il dolore?), quelle domande
che il filosofo vero ed adulto allontana da sé come assurde e prive di un
autentico valore speculativo e tali che non comportano risposta alcuna né
possibilità di svolgimento (…)”.
Ma
l’attitudine a porsi domande, l’apertura alla novità, l’attesa per il
compimento del desiderio strutturale di felicità e amore che ogni uomo si porta
dentro e che sono proprie dell’età giovanile, costituiscono lo spessore più
vero della nostra umanità. In questo consiste la vera giovinezza del cuore,
tanto che Ada Negri, ormai quasi settantenne, nella poesia “Mia giovinezza”, scriveva:
«Non t’ho perduta. Sei rimasta, in
fondo/all’essere. Sei tu, ma un’altra sei:/senza fronda né fior, senza il
lucente/ riso che avevi al tempo che non torna,/ senza quel canto. Un’altra
sei, più bella».
Rispetto
a tali domande la Chiesa vuole invece interloquire con i giovani, non per
imporre una risposta prefabbricata, ma per istaurare un dialogo su una
dimensione che non va censurata ma va
presa sul serio perché costituisce la cifra dell’essere uomini. Per questo la
Chiesa vuole prendere sul serio l’esigenza di autenticità, il desiderio di
cambiamento, la diffidenza verso il potere delle giovani generazioni in un
tempo in cui si moltiplicano gli sforzi per prolungare il più possibile la
gioventù esteriore ma per i veri giovani c’è sempre meno spazio. Poche
opportunità di lavoro, spesso precario e sottopagato, con un sistema
previdenziale che ipergarantisce gli anziani e mortifica i giovani.
Allora
si tratta di fare un passaggio ulteriore rispetto ad eventi mediatici, anche di
grande impatto, quali le GMG, che rischiano di rimanere degli episodi isolati,
se non accompagnati da una proposta presente e sperimentabile.
La
Chiesa e, in primis, Papa Francesco
che molto lucidamente ha definito il nostro tempo non un’epoca di cambiamento
ma un cambiamento d’epoca, comprendono molto bene che sulla questione educativa
si gioca il futuro della Chiesa stessa. Come educare? Come mettersi in sintonia
con i giovani? Perché una Chiesa che non riesca più ad intercettare l’ansia
degli uomini del suo tempo, che non riesca più a testimoniare la Verità del
Vangelo in modo semplice, efficace ed attraente, che non venga più percepita “per
gli uomini e fra gli uomini”, è destinata a una inevitabile marginalizzazione.
Ecco
allora il potente stimolo di Papa Francesco:
"E'
in Gesù e nello Spirito che la Chiesa trova la forza di rinnovarsi
sempre, compiendo una revisione di vita sul suo modo di essere, chiedendo
perdono per le sue fragilità e inadeguatezze, non risparmiando le energie
per mettersi al servizio di tutti (…) Il cuore della Chiesa è
giovane proprio perché il Vangelo è come una linfa vitale che la
rigenera continuamente. Sta a noi essere docili e cooperare a questa
fecondità. Abbiamo bisogno di riappropriarci dell’entusiasmo della fede e
del gusto della ricerca. Abbiamo bisogno di ritrovare nel Signore la forza
di risollevarci dai fallimenti, di andare avanti, di rafforzare
la fiducia nel futuro. E abbiamo bisogno di osare sentieri nuovi, anche se
ciò comporta dei rischi. Un giovane che non rischia non matura, un'istituzione
che non rischia rimane bambina. Bisogna rischiare, perché l’amore sa
rischiare; senza rischiare, un giovane invecchia, e invecchia pure la
Chiesa.”
Alla
luce di questa convinzione Papa Francesco ha proposto un percorso sinodale
molto articolato, incentrato soprattutto sull’ascolto. Nello scorso marzo si è
svolto un pre-sinodo con 300 giovani, , mentre oltre 15.000 sono intervenuti
on-line attraverso gruppi fb, per mettere al centro dell’attenzione della
Chiesa i giovani con il loro carico di aspettative, di desideri, di allegria,
di voglia di vivere e di migliorare il mondo. Per una settimana a parlare sono
stati loro e il frutto di quei lavori è stato raccolto in un documento che fa
il punto sulle loro esperienze e sul loro sentire. Tale “documento
preparatorio” costituirà la traccia per la XV Assemblea Generale Ordinaria
del Sinodo dei Vescovi sul tema "I giovani la fede e il discernimento
vocazionale".
Rispetto
alla vivace riflessione in atto nel mondo cattolico con l’approssimarsi del
Sinodo, un giovane sacerdote, don Federico Pichetto, costatando l’assenza di
accenti autocritici rispetto all’esperienza prodotta dall’educazione ecclesiale
nell’ultimo cinquantennio si chiede:
“Chi
è stato impegnato in parrocchia nell'animare la liturgia o nel fare catechismo,
oggi che adulto è? Chi ha fatto esperienze nella natura in spirito di
condivisione e di scoperta di sé, oggi che contributo dà alla Chiesa? Chi ha svolto
attività sociali di servizio ai più poveri in associazioni o gruppi cristiani,
oggi come vive il proprio lavoro e il proprio rapporto con i figli? Chi ha
sperimentato modelli di condivisione e di fraternità ad alto impatto
spirituale, oggi come gestisce i soldi e il tempo libero? Chi ha approfondito
un fenomeno comunitario intenso con dibattiti culturali, vacanze insieme e
gesti di fede mirati, oggi che rapporto ha con la propria affettività e con le
quotidiane fragilità che la vita fa emergere? E, infine, dove sono tutti
costoro all'interno del dibattito pubblico, della vita sociale e dell'impegno
politico del nostro paese? (…) come è potuto accadere che tutta la
passione educativa dei cattolici italiani degli ultimi cinquant'anni abbia
generato delle umanità senza passioni, intrappolate e ricattate dalle proprie
fragilità, impacciate e interdette di fronte all'irruenza della vita? La
questione, se non si vuole celebrare un Sinodo pieno di parole e povero di
conseguenze, deve restare del tutto aperta.”
Forse
proprio nell’ottica richiamata continuamente da Papa Francesco, di una Chiesa
che perennemente si riforma, capace continuamente di nuovi inizi, che non si
scandalizza del suo limite e non è ricattata dall’esito della sua azione, si
può guardare con realismo l’esistente ed accogliere anche interventi
volutamente provocatori come questo di don Pichetto.
Dedico questo
scritto a don Ennio, la persona più giovane che ho conosciuto.
Ottavio Di Stanislao
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