giovedì 28 luglio 2016

FRANCESCO, BENEDETTO E LA DOMANDA DEGLI UOMINI

Forse anche le ultime affermazioni di Papa Francesco sulla contrarietà ai matrimoni riparatori e alla comprensione verso le convivenze avrà suscitato scandalo. Ormai tutto quello che il Papa dice viene vivisezionato dai sedicenti difensori della tradizione e dell'ortodossia per segnalare presunti scostamenti dalla sana dottrina, derive relativiste, cedimenti alla mentalità secolarizzata ecc. ecc. Ma a ben vedere il suo modo di affrontare la superficialità con cui il più delle volte ci si accosta al matrimonio, preoccupati esclusivamente delle convenzioni sociali, è realistico e pervaso da autentica preoccupazione pastorale. Spesso non solo si ignora la bellezza del sacramento, non se ne comprende l'indissolubilità, ma in un contesto sociale in cui è diffusa e radicata la cultura del provvisorio di fatto non c'è consapevolezza del “per sempre”. Per questo Papa Francesco afferma che una parte dei matrimoni sacramentali sono nulli proprio per carenza di consapevolezza. Soprattutto nei casi in cui la volontà di unirsi in matrimonio non si è formata liberamente ma appare fortemente condizionata dall'arrivo di un bambino, suggerisce ai pastori di non assecondare l'ansia di “mettersi in regola”, e di fronte al fenomeno della convivenza senza matrimonio li esorta a non essere impazienti di mettere il timbro del sacramento. «Non dire subito: “perché non ti sposi in chiesa?” No. Accompagnarli: aspettare e far maturare. E fare maturare la fedeltà». Ricordando la sua esperienza pastorale in Argentina, dove nelle campagne del nord-est, le convivenze senza matrimonio sono particolarmente diffuse anche per motivi di superstizione, papa Francesco afferma  «ho visto tanta fedeltà in queste convivenze e sono sicuro che questo è un matrimonio vero, hanno la grazia del matrimonio, proprio per la fedeltà che hanno». E chiosa «È la pastorale più difficile quella del matrimonio».
Ma questo è solo l'ultimo esempio di una pastoralità che non vuole ridursi ad un'arida precettistica, ma che invece vuole essere accanto agli uomini di questo tempo per accompagnarli. Papa Francesco esorta la chiesa ad essere “dentro” i vari contesti sociali di questo mondo ben cosciente della sua complessità civile ed etica. Questo non significa cedimento di fronte alla mentalità ed alla prassi mondana ma è una realistica valutazione che solo dall'interno queste potranno essere influenzate e cambiate. Se la chiesa pensasse di combattere dall'esterno la situazione etica del mondo contemporaneo si condannerebbe ad uno “splendido isolamento”. Di qui il disagio ed il dissenso di chi ritiene che la proposta cristiana debba essere netta e accusa il papa di resa e cedimento al mondo moderno, riproponendo un dissidio che è sempre esistito all'interno della chiesa.
Ma qual è il metodo di Dio per farsi riconoscere? S. Agostino scriveva: «Ascese al cielo, mandò lo Spirito Santo e non si mostrò visibilmente dopo la risurrezione a coloro che lo avevano crocifisso, ma solo ai suoi discepoli fedeli perché non sembrasse che volesse quasi sfidare coloro che lo avevano ucciso. Era infatti più importante insegnare agli amici l'umiltà che sfidare i nemici con la verità» (G. TANTARDINI, Il cuore e la grazia in S. Agostino. Distinzione e corrispondenza). Ratzinger-Benedetto XVI scrive: «E' proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano. Egli costruisce nella storia dell'umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter esser ignorato dai suoi contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all'umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta». (Gesù di Nazaret. Dall'ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione). Quindi, «Lo stile divino è non intervenire con la potenza della forza, ma suscitare la libertà senza forzare in alcun modo». (J. CARRON, Esercizi fraternità 2016).
La consapevolezza di ciò (di questo metodo di Dio) è particolarmente importante in questo momento storico caratterizzato da trasformazioni etiche e comportamentali e dal crollo di antiche sicurezze tanto da far dire a Papa Francesco: « … oggi non viviamo un'epoca di cambiamento quanto un cambiamento d'epoca». (Discorso al V Convegno della Chiesa Italiana, Firenze, 10 novembre 2015).
Ed è impressionante che a comprendere lucidamente la profondità ed il senso di tale mutamento sia un uomo di ottantanove anni, il papa emerito Ratzinger-Benedetto. In una intervista dello scorso marzo ha dichiarato: «Non è più l'uomo che crede di aver bisogno della giustificazione al cospetto di Dio, bensì egli è del parere che sia Dio che debba giustificarsi a motivo di tutte le cose orrende presenti nel mondo e di fronte alla miseria dell'essere umano (…) Le cose si sono in un certo senso capovolte» (Avvenire, 16 marzo 2016).  Occorre allora comprendere quale domanda esprime l'uomo di oggi perché la risposta sia percepita come credibile, perché la chiesa possa giustificarsi davanti agli uomini.
Papa Benedetto nella citata intervista sostiene che la chiesa potrà giustificarsi davanti agli uomini del nostro tempo se risponde al suo bisogno di grazia e di perdono. E valuta come un “segno dei tempi” il fatto che la misericordia di Dio sia sempre più centrale e dominante. Da Giovanni Paolo II che non ha fatto altro che proporre la misericordia come unica vera risposta al male e alla violenza a Francesco la cui pastorale è impostata tutta sulla misericordia di Dio capace di attirare gli uomini: «… sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l'uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia. [Gli uomini] sanno di aver bisogno della misericordia di Dio e della sua delicatezza. Nella durezza del mondo tecnicizzato nel quale i sentimenti non contano più niente, aumenta però l'attesa di un amore salvifico che venga donato gratuitamente».
E' veramente sorprendente constatare la consonanza di Benedetto e di Francesco. L'attuale pontefice, alla domanda sul perché questa nostra umanità ha bisogno della misericordia risponde che la nostra è una umanità ferita in profondità che non sa come curarsi ed anzi crede che una cura non sia possibile, che considera il male, il peccato come qualcosa che non può essere guarito e perdonato. «Manca l'esperienza concreta della misericordia. La fragilità dei tempi in cui viviamo è anche questa:  credere che non esista la possibilità di riscatto, una mano che ti rialza, un abbraccio che ti salva, ti perdona, ti risolleva, ti inonda di un amore infinito, paziente, indulgente, ti rimette in carreggiata». (Francesco, Il nome di Dio è Misericordia. Conversazione con Andrea Tornielli). Rispetto a tali ferite il Papa non ha organizzato un convegno o proposto una riflessione sulla misericordia, ma ha indetto un Anno Santo, perché tutti ne potessero fare esperienza in coerenza con quel metodo discreto di Dio che vuole arrivare a tutti attraverso i Suoi. Per questo Francesco dice che la Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario, per offrire agli uomini il suo contributo peculiare «rendendo visibili i segni della presenza e della vicinanza di Dio», cioè testimoniando l'esperienza della misericordia. «Questo Giubileo, insomma, è un momento privilegiato perché la Chiesa impari a scegliere unicamente “ciò che a Dio piace di più”, (…) perdonare i suoi figli, aver misericordia di loro, affinché anch'essi possano a loro volta perdonare i fratelli, risplendendo come fiaccole della misericordia di dio nel mondo (…) Niente è più importante di scegliere “ciò che a Dio piace di più”, cioè la sua misericordia, il suo amore, la sua tenerezza, il suo abbraccio, le sue carezze!». (Udienza generale 9 dicembre 2015).
C’è solo da ringraziare il Signore per averci dato uomini santi alla guida della Sua Chiesa che sanno leggere il segno dei tempi per rispondere alle domande dei nostri giorni coerentemente allo stile di Dio: “Era infatti più importante insegnare agli amici l'umiltà che sfidare i nemici con la verità”.

Ottavio di Stanislao

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