ARMATORI
IN CREDITO
Di Domenico Foglia
Potremmo chiamarlo "fermento in banchina?'" Forse sì,
considerato il malumore che da qualche tempo serpeggia sui nostri porti.
E se gli armatori non sono sul cosiddetto "piede di guerra"
poco ci manca. L'ultima diatriba, in ordine di tempo, riguarda l'annosa
questione del fermo biologico, per il
quale ancora non vengono erogati i contributi degli anni precedenti. " Vi
pare giusto", si chiedono i
pescatori, "imporre alla nostra categoria di fermare le imbarcazioni per
questo 2017 quando c'è ancora da ricevere il risarcimento per il fermo pesca
2015 e 2016?"
La categoria insomma ritiene iniquo per il terzo anno consecutivo
anticipare il sostentamento economico non solo per le loro famiglie ma anche
per il personale imbarcato. E inoltre, dopo che l'indennizzo per il 2016 è stato messo a bando solo per la metà
delle imbarcazioni interessate dal fermo, perché imporre di nuovo il blocco
delle attività senza la certezza di poter prendere il proprio indennizzo?
Insomma, se viene meno il concetto di "risarcimento garantito" per
un'imposizione ministeriale, allora tale imposizione non può essere più
accettata. Per tutto questo ed altro ancora, si discute in questi giorni tra le
marineria di Marche, Abruzzo e Molise meditando anche azioni clamorose a difesa
della loro attività.
Attività che, giova ribadirlo, soffre per tanti altri aspetti,
economici e legislativi.
Troppi legacci, troppi vincoli, troppa burocrazia spesso difficile da
comprendere, affliggono ed impoveriscono
oggi una categoria che fino ad un decennio fa godeva di fatturati di tutto
rispetto.
Prendiamo ad esempio la questione della pesca al tonno. È durata appena
dodici giorni la campagna per la cattura di questa pregiata e ricercata
qualità. Motivo: le quote contingentate assegnate dalla Comunità Europea
all'Italia si sono rivelate insufficienti ed esaurite in pochi giorni.
Anche Giulianova ha dovuto ovviamente adeguare la propria
attività a tali direttive. E poco alla
volta allora spariscono pezzi di flottiglia che fino ad alcuni anni fa
costituivano il fiore all'occhiello per la nostra marineria. La nostra
cittadina, che vantava ieri una della quote principali di pesca del pesce
azzurro, ora vede ridursi giorno per giorno la propria flotta. La pesca del
pesce azzurro è svolta ormai quasi esclusivamente da maestranze di altre
regioni e i nostri pescatori hanno ritenuto
più conveniente "emigrare" nel vicino porto di San Benedetto
del Tronto.
La pesca ai piccoli pelagici viene svolta da circa 35 natanti (un tempo
erano molto di più), mentre le imbarcazioni per la pesca a strascico sono
rimaste appena sette. Una di esse, il "Faro" avrà quest'anno il
privilegio di ospitare il simulacro della Madonna del Portosalvo durante la
tradizionale Processione a mare.
Situazione simile per il settore delle vongolare, dove le imbarcazioni
sono passate da 104 a 52 ma almeno qui il dimezzamento è stato compensato da
quale buona notizia. Ora infatti il limite minimo di pesca di questi piccoli
esemplari è stato portato da 2,5 a 2,2
centimetri. Si è capito, finalmente, che in Adriatico questo mollusco non
raggiunge quasi mai misure superiori e quindi era ingiusto imporre limiti
così drastici.
Limitazioni molto più severe invece per la pesca delle altre specie
presenti nel nostro mare. Guai infatti a pescare pesce sotto taglia. Stessa
sorte per chi viene sorpreso a gettare le reti fuori miglia. Si rischiano multe salate che possono portare
perfino alla sospensione della licenza di pesca, ormai sempre più una specie di patente a
punti, nonché alll'impossibilità di
accesso ad eventuali sovvenzioni.
Insomma, si lamentano i pescatori, c'è troppa rigidità e poca
attenzione per la categoria. In passato si è forse ecceduto con
l'assistenzialismo e forse si è peccato
troppo in azioni di megalomania. Erano gli anni del boom economico,
quando tutto sembrava lecito, perfino costruire motopescherecci con potenza
esagerata rispetto alle peculiarità della pesca adriatica. Motori da 2000
cavalli quando ne sarebbero bastati anche solo 500.
Oggi si registra l'effetto opposto: non si investe, non si fa
formazione, non si aiutano le nuove società con un credito agevolato preferendo
il finanziamento a pioggia . Poi ci si mette anche il mercato, dove i prezzi
del prodotto sono rimasti quelli di quindici anni fa mentre i costi aumentano
giorno per giorno, da quelli del gasolio alla parte contributiva e fiscale.
Ed oltre al danno, spesso arriva anche
la beffa. Come nel caso della Fossa di Pomo, un'area marina quasi a metà
distanza tra Italia e Croazia. Un'area che dovrebbe, nelle intenzioni della
Unione Europea, essere destinata allo studio e alla ricerca e conseguentemente
al ripopolamento della fauna ittica e restare
quindi interdetta all'attività peschereccia. Peccato che a rispettare
tali vincoli siano solo i nostri, mentre la concorrenza croata continua a
pescare quasi indisturbata in questa area.
I marinai oggi chiedono riforme strutturali a medio e lungo termine.
Basta con l'assistenzialismo e il pesante regime sanzionatorio. Forse è
arrivato il momento di concedere più flessibilità ad un mondo ed un'attività che l'Italia, nazione da sempre storicamente marinara, non
può permettersi di far scomparire. Sarebbe come perdere un tratto della propria
identità.
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